Come orientarsi nel 2022?

Si è chiuso un anno complicato, forse più complicato del precedente. Se nel 2020 siamo stati paralizzati dalla pandemia, nel 2021 ci siamo illusi di poterla superare e tornare alla normalità di prima. Ma in realtà sapevamo benissimo che non poteva essere così.

Come orientarsi nel 2022? Non ci sono formule. Tuttavia ci sono delle direzioni che ragionevolmente possiamo intraprendere sulla base di quello che sappiamo. E cosa sappiamo? Beh, alcune cose le sappiamo e, grazie a queste informazioni, possiamo a provare a leggere la mappa

  • Sappiamo che questa pandemia ci accompagnerà ancora per molti anni.
  • Sappiamo che dovremo abituarci a tamponi, dosi booster e precauzioni sanitarie.
  • Sappiamo che il pianeta è malato e per guarirlo dobbiamo cambiare tante nostre abitudini.
  • Sappiamo che non possiamo continuare a sprecare e consumare energia come abbiamo fatto finora.
  • Sappiamo che la mobilità urbana si sta rivoluzionando.
  • Sappiamo che useremo di più la bicicletta e i servizi di sharing mobility.

Sappiamo che tra qualche anno anche l’automobile (e persino la casa) non saranno più proprietà personali, ma servizi da utilizzare in base alle esigenze.

E molte di queste cose ci spaventano. Ma sappiamo che stanno arrivando.

Allora forse la cosa migliore che possiamo fare nel 2022 è provare leggere al meglio la mappa. Possiamo provare ad orientarci proprio come si fa nello sport d’orientamento, individuando la posizione del punto di controllo al quale dobbiamo arrivare e scegliendo il percorso più adatto alle nostre possibilità (fisiche e mentali).

E possiamo anche divertirci praticando l’Orienteering che, oltre ad essere divertente, fa bene al corpo e allo spirito.

Buon 2022, buon orientamento!

Non si può stabilire chi NON curare

Pensare di far pagare le cure a chi non si è vaccinato è un ragionamento molto pericoloso perché introduce un principio etico-salutistico che richiede valutazioni soggettive. Come ci comportiamo allora con:

– l’infartuato sovrappeso che non ha seguito la dieta?

– il fumatore con il tumore ai polmoni?

– l’ubriaco al volante che si è schiantato contro un albero?

Chi stabilisce i criteri? Solo nel primo caso le conseguenze di un comportamento personale non ricadono direttamente sugli altri. In tutti e tre i casi la collettività sostiene i costi delle cure.

Per superare il problema no vax è molto più semplice introdurre l’obbligo vaccinale e prevedere controlli e sanzioni,anche limiti i accesso a determinati servizi o contributi pubblici. Ma in uno stato civile e democratico, chi sta male va sempre curato.

Nightfall

Notturno è considerato il capolavoro letterario di Isaac Asimov. Tutto ruota intorno ad una sola domanda: cosa succederebbe se gli uomini, assuefatti da sempre alla luce, si trovassero improvvisamente al buio?

Scritto nel 1941, il racconto offre numerosi spunti di riflessione sociologica estremamente attuali. Se consideriamo “Notturno” una metafora, la domanda “Cosa succederebbe se gli uomini si trovassero improvvisamente al buio?”diventa “Cosa succederebbe se il genere umano si trovasse, completamente impreparato, di fronte a un evento potenzialmente catastrofico mai avvenuto prima?”. Ed ecco che il racconto diventa improvvisamente attuale.

Ci troviamo sul pianeta Lagash, il quale orbita intorno a sei stelle contemporaneamente. Su questo pianeta non è mai notte. Il racconto descrive un momento molto particolare della storia di questo mondo, ovvero quando per una coincidenza astronomica, le sei stelle sono allineate con il pianeta e quella più vicina subisce un’eclissi per effetto di un satellite. Quando cioè dopo millenni di luce, calano improvvisamente le tenebre.

La popolazione di Lagash, spiazzata dalle tenebre fino alla follia, è l’emblema dell’umanità che reagisce col panico e l’isteria davanti a un evento per nuovo e inaspettato. Oggi sappiamo che la pandemia da Covid-19 può essere gestita e controllata. Ma se ritorniamo ad un anno fa, ci rendiamo conto che la paura istintiva nei confronti dell’ignoto non era diversa da quella descritta nel racconto.

Asimov nel suo racconto non parla di malattie contagiose, né profetizza spaventosi virus, si limita a tracciare un quadro comportamentale della società umana rispetto alla notizia di gli eventi che si profilano come terribili.

Insidie nello Smartworking

C’è un divario significativo tra il concetto di smartworking e la sua applicazione emergenziale nei primi mesi della pandemia. Se con “lavoro agile” intendiamo la possibilità di lavorare da remoto in qualsiasi luogo, senza dover indicare un posto fisso e senza vincolo di orario nine-to-five, allora nell’anno appena trascorso le lavoratrici e i lavoratori non hanno operato in smartworking.

Ciò che in prevalenza è stato introdotto nel 2020 ed è in parte proseguito nel 2021 è meglio definito come “home working” o “emergency working”, in quanto è venuta a mancare l’attuazione della legge 81/2017, che descrive il lavoro agile come istituto lavorativo senza vincoli spazio-temporali e organizzato per fasi, cicli e obiettivi.

Quanto messo in atto durante la pandemia non è nemmeno telelavoro, un istituto in vigore dal 2004 e ben più rigido dello smartworking, ma caratterizzato da maggiori tutele per il lavoratore (ad esempio in materia di salute e sicurezza).

Tuttavia, l’evidenziare la formalità delle norme rispetto alle sue applicazioni pratiche non significa negare che questa modalità di lavoro ha consentito di salvaguardare centinaia di migliaia posti di lavoro ed ha consentito a molte aziende di mantenere attiva la produzione anche nei mesi più drammatici.

Vi sono alcune controindicazioni allo smartworking che vanno in qualche modo prese in considerazione per evitare il paradosso di peggiorare anzichè migliorare le condizioni di lavoro individuali. Anzitutto il luogo di lavoro è luogo di socialità, relazione ed organizzazione collettiva tra persone. E’ chiaro che in assenza di queste condizioni anche il rapporto tra lavoratori e sindacati perde consistenza rendendo meno efficace l’azione di questi ultimi.

C’è poi la questione abitativa: lo smartworking, relegandoci dentro casa, aumenta le esistenti situazioni di diseguaglianza perché non tutti viviamo in belle case spaziose, ben illuminate e silenziose, dove poter lavorare in armonia.

C’è infine da considerare il tema del divario di genere, affatto abanale. Perché, se è vero che lo smart working può aiutare a conciliare i tempi di lavoro e di vita, è anche vero che se la suddivisione del lavoro domestico e di cura non è equilibrata, le donne rischiano di vedere moltiplicati i propri svantaggi e il proprio carico domestico, perpetuando i paradigmi passatisti che con difficoltà stiamo cercando di superare. Secondo molte delle rilevazioni effettuate da vari enti ed istituti di ricerca – non da ultimo l’INPS –, in percentuale le donne sembrano apprezzare meno lo smart working rispetto agli uomini. E questo dato, purtroppo, non stupisce: se la divisione dei ruoli all’interno delle famiglie rimane di stampo tradizionale, sono (e saranno) le donne a sopportare il peso maggiore del lavoro da casa.

History Repeats

La storia si ripete e a provarlo in questi giorni è Getty Images, uno dei maggiori fornitori online di immagini stock ad alta definizione. La sua ultima campagna si intitola “History Repeats” e dimostra come passato e presente siano collegati in maniera sorprendente.

History Repeats” affianca immagini attuali e inedite a note fotografie del passato e le unisce in corrispondenze visive e tematiche.

L’influenza spagnola del 1918 accompagna la pandemia Covid-19 del 2020. Le immagini delle lotte a Londra per il suffragio femminile del 1906 si abbina a quelle delle manifestazione delle Femen a Parigi nel 2018. I disordini di Stonewall del 1970 a New York si uniscono al Pride in California nel 2019. E infine, la nave che trasporta alcuni rifugiati ebrei nel 1948 si ritrova in quella approdata in Italia nel 2017.

La Casa del Covid

Oggi la parola CASA può essere analizzata e affrontata letta da tre punti di vista diversi e complementari: la nostra casa privata, la nostra città, il pianeta Terra.

Nelle ultime decadi, abbiamo vissuto importanti rivoluzioni che hanno trasformato il nostro modo di stare al mondo; le interazioni sui social, il mercato del lavoro non più lineare, la mobilità sono stati al centro dei cambiamenti della società. Quello che rimaneva immutato era il ruolo della casa. Adesso invece, con una brusca accelerazione dovuta alla pandemia, è proprio la casa ad essere al centro della rivoluzione.

Che si parli di casa privata o di pianeta Terra, ciò che è certo è che ci troviamo di fronte a una rivoluzione degli spazi e di come interagiamo con questi. Per capirlo, osserviamo e proviamo a comprendere i macro trend che li coinvolgono.

Il lavoro da casa – accelerato e potenziato dall’arrivo del Covid-19 – rappresenta sicuramente un elemento che ha ridisegnato il ruolo della casa e le necessità tecnologiche dei suoi abitanti (pensiamo a tool come Microsoft Teams). La casa è anche il luogo in cui prenderci cura di noi. La palestra si è trasferita nel soggiorno.

La stessa casa diventerà ben presto una vera e propria piattaforma tecnologica i cui dati saranno monitorati e analizzati per rendere la nostra stessa routine sempre più efficiente. 

Sappiamo già che lo shopping da casa vedrà una forte crescita in futuro e sappiamo anche che i brand si troveranno ad affrontare sempre più sfide. Dai servizi di reso che diventano sempre più fluidi alle questioni di impatto ambientale, elemento sempre più sotto lo sguardo vigile del consumatore responsabile. Il concetto di Smart Commerce è intrinsecamente legato a quello di tecnologia, che gioca un ruolo fondamentale nella journey del consumatore.

La casa è davvero il perno dei cambiamenti già in atto. Diventa il centro delle esperienze dei consumatori e il centro delle relazioni di questi con le marche.
Tracciare questi trend, prevederli e saperli sfruttare è fondamentale per costruire strategie contemporanee e a prova di futuro.

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L’eclissi dell’Ambiente

In molti non hanno capito quanto Covid-19 abbia a che vedere con l’ecologia. Eppure c’è un legame scientificamente provato tra ambiente e coronavirus.

Per effetto del Covid-19, dal punto di vista dell’informazione, il 2020, che doveva essere l’anno dell’ambiente è diventato invece l’anno della pandemia.

Dopo un 2019 che aveva fatto registrate un miglioramento sensibile della presenza dell’ambiente nell’informazione mainstream, il tema della tutela ambientale è pressochè scomparso. I media avrebbero invece dovuto incrociare molto di più i due temi, perché nulla (o quasi) è più ambientalmente tematizzato di una pandemia. Basta saperne cogliere il contesto di fondo.

La pandemia globale ha quindi ridisegnato le priorità dei media e del dibattito pubblico. Così che il volto di Greta e il Green new deal europeo hanno lasciato spazio a bollettini, mappe e curve epidemiologiche. Il contesto sanitario ha travolto il Pianeta mettendo all’angolo le tematiche ambientali, trattate sporadicamente dai mezzi d’informazione. Ma la questione più preoccupante è stata la scarsa trattazione del legame scientificamente provato tra ambiente e coronavirus.

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Perché in tanti credono ai complotti

Per ogni grande evento della storia c’è almeno una teoria del complotto: dalle grandi Piramidi Egizie allo sbarco sulla Luna, passando per l’omicidio del presidente Kennedy all’attacco alle Torri Gemelle, per poi arrivare ai classici intramontabili, come scie chimiche e società segrete. Più di recente, abbiamo aggiunto alla collezione alcune storie bizzarre sul 5G e sul Coronavirus.

Gli gli esseri umani hanno una tendenza naturale a credere a queste storie, perché fanno leva su alcuni errori sistematici che sono ben ingranati nelle nostre menti e nel modo in cui ragioniamo.

Tra i bias cognitivi più comunemente riconosciuti e più radicati nel nostro modo di ragionare, sicuramente troviamo il bias della conferma, la tendenza a dare peso alle evidenze che corroborano le nostre ipotesi, tralasciando quelle che le contraddicono, mentre la fallacia della congiunzione è la tendenza a vedere nessi di causalità tra due o più eventi che co-occorrono, ossia che si verificano contemporaneamente o nello stesso contesto.

Un individuo soggetto a questi due errori cognitivi potrebbe saltare alla conclusione che il virus sia un prodotto artificiale sfuggito alle mani di uno scienziato poco attento di un centro di ricerca, semplicemente perché i primi casi confermati di Covid-19 si trovavano a Wuhan e perché nella stessa città esiste un laboratorio di virologia (i due eventi che co-occorrono).

E non importa che le analisi genomiche confermino l’origine naturale del virus, perché le uniche evidenze di cui l’individuo terrà conto saranno quelle che confermano la sua ipotesi, a prescindere da quanto poco siano autorevoli.

Le scienze cognitive hanno individuato altri errori sistematici che possono contribuire notevolmente alle credenze complottiste. Ne è un esempio il cosiddetto Hypersensitive Agency Detection bias, che lo psicologo Justin Barrett definisce come la tendenza umana a rilevare un’intenzionalità o un “agire” dietro a determinati eventi che in realtà sono soltanto casuali o naturali. Questo concetto è stato usato per spiegare numerose credenze umane, tra cui quelle religiose, quelle paranormali e quelle complottiste. Secondo questa prospettiva, la spiegazione di alcuni eventi come terremoti o pandemie tenderebbe ad essere attribuita all’agire umano. Il complotto secondo cui l’istallazione delle antenne del 5G è stata effettuata come un tentativo dei “poteri forti” di favorire la diffusione del virus grazie alle onde elettromagnetiche è un ottimo esempio di questo meccanismo.

I ricercatori hanno inoltre notato che le teorie del complotto tendono a proliferare di più quando la portata dell’evento è maggiore. Tale fenomeno è spiegato dal bias della proporzionalità, ossia una tendenza a credere che gli eventi molto importanti, come un disastro naturale o un attentato, possano essere spiegati solo da cause altrettanto epocali (Leman 2007).

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La rimozione mentale del Covid-19

Sembra che alcune delle persone che rifiutano di osservare le regole sanitarie siano mosse da particolari meccanismi psicologici, ovvero dalla tendenza del nostro cervello ad archiviare problemi e situazioni traumatiche per permetterci di proseguire con la nostra solita vita, che altrimenti rischierebbe di essere messa profondamente in crisi. Questo meccanismo, solitamente utile a superare le difficoltà emotive a cui l’esistenza ci mette di fronte, nel caso dell’attuale emergenza sanitaria rende però molto più difficile contenere l’epidemia.

Il cervello umano è capace di nascondere i brutti ricordi per farci vivere meglio: dimenticare è ancora più importante di ricordare. Ogni giorno dimentichiamo le informazioni inutili, superflue o dannose – come possono esserlo appunto le esperienze traumatiche – per stare meglio e per fare spazio a ciò che invece ci è utile per sopravvivere. A dimostrarlo, tra gli altri, è stato nel 2017 uno studio dell’Università di Cambridge, che ha rilevato come l’aumento della concentrazione del neurotrasmettitore GABA (Acido Gamma-Ammino-Butirrico) faccia aumentare la capacità del cervello di archiviare i ricordi negativi. Qualche volta, però, questo meccanismo è controproducente, come quando le persone, come forma di auto-protezione, sembrano rimuovere i problemi, cosa che impedisce loro di affrontarli e risolverli e finisce per costringerli a ripetere sistematicamente pattern dannosi. Nel contesto di oggi – quello della seconda ondata di contagi, che rende di nuovo necessarie misure stringenti di contenimento – questo meccanismo mentale inconscio fa sì che un numero notevole di persone non si attenga alle norme precauzionali perché mentalmente incapace di reggere il carico di responsabilità richiesto in questa fase.

La rimozione è, in psicoanalisi, un meccanismo inconscio che allontana dalla consapevolezza del soggetto i desideri o i pensieri considerati inaccettabili e intollerabili, la cui presenza causerebbe angoscia. Questo meccanismo cardine di difesa è alla base delle nevrosi, ma entro certi limiti è fisiologico. Negare le evidenze scientifiche potrebbe quindi ricondursi, in parte, alla paura che si è incapaci di gestire e quindi alla mancata accettazione delle situazioni difficili (la pandemia, l’emergenza climatica, solo per citare le due più attuali).

Fare finta che il problema non esista non è sufficiente a risolverlo o a eliminarlo, è anzi uno dei disagi che la pandemia ha portato a galla nell’ambito del benessere psicologico. In questa fase di gestione della pandemia è estremamente dannoso e rischia di farci rivivere un trauma ben peggiore di quello che in tanti si sforzano di ignorare.

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La (non) cultura della prevenzione

La Protezione Civile e il Servizio Sanitario Nazionale italiani sono riconosciuti tra i migliori al mondo. E’ sostanzialmente vero. La capacità di reazione del nostro Paese è una delle caratteristiche che più ci contraddistingue come Nazione. Ma sul lungo periodo non sono sufficienti.

Diciamolo chiaramente, nel corso dei tre mesi dell’Estate poco e nulla si è fatto per ri-organizzare il nostro modo di vivere in previsione di un ritorno dei contagi. Si è invece allentata la presa sulle regole di distanziamento in modo eccessivo, favorendo proprio il ritorno dei contagi (anche se pare che in Europa e nel mondo quasi nessuno ci è riuscito).

Questo Governo ha probabilmente la responsabilità di non aver avviato una significativa riorganizzazione del “funzionamento quotidiano del paese” che intervenisse su trasporto pubblico, predisposizione dei tracciamenti, organizzazione delle scuole e tempo libero. Il CdM si è limitato all’emanazione di protocolli che hanno comportato significativi investimenti e rinunce per le attività economiche, ma che ora si sono rivelati vani. Da qui la rabbia di tanti, mai giustificata quando manifestata in modo violento.

Vorrei però ricordare che quelli che oggi accusano più pesantemente il Governo di non essere intervenuto adeguatamente sulla riorganizazzione di scuola e trasporti sono esattamente coloro che in Estate circolavano senza mascherine, sostenevano che il virus era sconfitto, strizzavano l’occhio ai negazionisti, puntavano il dito sul prolungamento dello Stato di Emergenza e affermavano che le limitazioni che venivano comunque imposte erano sostanzialmente non necessarie e avrebbero solo danneggiato economia.

Matteo Salvini, Giorgia Meloni e tanti altri, attraverso l’esempio dei loro comportamenti e la forza della loro presenza mediatica, hanno inculcato ai loro (non pochi) elettori e simpatizzanti, e in generale a tutto il Paese, l’idea che il virus fosse stato sconfitto e che non occorreva più alcuna limitazione

E lo hanno fatto solamente per ragioni di convenienza politica, parlando agli istinti ed ai bisogni dei singoli individui e non a quelli della Comunità nel suo complesso. “A grande potere, corrisponde grande responsabilità“, la frase che Ben Parker disse a suo nipote prima di morire, oggi è più attuale che mai.

Ma se i messaggi diretti alla pancia attecchiscono così facilmente è perché in Italia da sempre non si è mai propagata una adeguata cultura della prevenzione e degli investimenti necessari per evitare di trovarsi nelle stesse emergenze dalle quali siamo usciti grazie alla grande capacità di reazione e forza d’animo degli italiani. E usciremo certamente anche da questo “ritorno” dell’emergenza. Ma il prezzo che paghiamo in termini di vite umane e di economia reale del paese, è direttamente proporzionale alla nostra incapacità di ragionare in termini di prospettiva comune anzichè di bisogno individuale.

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