Charting a Coronavirus Infection

La caratteristica più insidiosa del Covid-19 sta nel fatto che l’innalzamento della carica virale presente in un individuo (il momento in cui inizia ad essere contagioso) precede l’eventuale comparsa dei sintomi, che possono anche non essere evidenti.

Proprio perché le persone che non si ammalano possono trasmettere il coronavirus, è importante che vengano adottate particolari precauzioni per ridurre la diffusione del contagio. Come abbiamo ormai imparato dopo mesi di pandemia, non c’è una singola cosa da fare, ma un complesso di pratiche che comprendono il distanziamento fisico, indossare le mascherine, lavarsi bene le mani ed evitare i luoghi affollati.

La combinazione di queste contromisure è molto importante per ridurre la circolazione del coronavirus, rendendolo quindi meno presente tra la popolazione. Una quantità inferiore di contagi comporta un minor numero di malati di COVID-19 e un carico sostenibile per i sistemi sanitari, riducendo il rischio di tornare alla situazione di marzo e aprile con gli ospedali pieni e in sovraccarico.

Per provare a fare chiarezza su Covid-19, il New York Times ha preparato una guida con le cose essenziali da sapere, accompagnate da alcuni grafici che aiutano a farsi meglio un’idea di termini e circostanze che sentiamo ormai ripetere da mesi.

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Ambiente Covid

Sono state avanzate diverse teorie sull’origine del Covid-19. Alcune di esse chiamano in causa fenomeni ambientali come l’inquinamento, la distruzione degli ecosistemi e il commercio illegale di animali.

Sono diversi gli esperti che sostengono che l’inquinamento dell’aria potrebbe favorire la trasmissione del Covid-19, poiché le polveri sottili permetterebbero al virus di espandersi con maggiore velocità. Lo dice un recente studio condotto dalla SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale), secondo cui le polveri sottili fungerebbero da nucleo di trasporto per il Coronavirus, permettendo a quest’ultimo di muoversi su distanze molto più ampie del normale e con una concentrazione superiore.

Il WWF è intervenuto sottolineando una possibile correlazione fra le pandemie e la mancata tutela degli ecosistemi, insieme al commercio illegale di specie animali. Alcune specie animali, per via della distruzione del loro habitat, sarebbero portate a spostarsi e di conseguenza, ciò aumenterebbe il rischio di “spillover”, il fenomeno responsabile del mutamento di un virus e del passaggio da una specie a un’altra. Per fare un esempio, anche se al momento non vi sono certezze, alcuni studi sostengono che il Covid-19 sia stato diffuso dai pipistrelli venduti o macellati presso i mercati cinesi. Anche la vendita, infatti, produce una “migrazione forzata” di queste specie, incrementando il pericolo di contagio.

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Smartworking 2.0

Il Governo sta valutando il prolungamento dello stato d’Emergenza, prorogando quindi anche la norma che privilegia il lavoro agile come modalità principale di lavoro. Se ciò non accadesse, senza accordi di secondo livello si tornerebbe alla situazione pre Covid.

Attualmente siamo in una fase di transizione in cui dopo il 15 ottobre saremo liberi di fare quello che vogliamo, ma saremo condizionati dal rispetto delle regole sanitarie. Un incrocio normativo che va risolto.

Di fatto non siamo fuori dal pericolo sanitario, e ci sono i protocolli Inail da rispettare. Banalmente, molte aziende non potranno prevedere il rientro dei lavoratori negli uffici e certamente nessun datore si vorrà assumere la responsabilità di un rientro forzato, laddove tutti gli accordi, i decreti e i protocolli fin qui emanati parlano esplicitamente di ‘favorire laddove possibile lo smart working.

Le aziende più strutturate si sono comunque già preparate alla fase del ritorno, definendo uno smartworking 2.0, una formula più spinta verso un lavoro che preveda un’alternanza fisico-remoto, una distribuzione tra azienda e telelavoro con un principio di rotazione che dipende dall’organizzazione del lavoro e degli spazi.

In pratica, molti potrebbero tornare a lavorare in ufficio per uno-due giorni la settimana o alternare una settimana in sede e una a casa o altre formule ancora.

Il vero smart working è quello che sposta quote di responsabilità organizzativa sul lavoratore, abbinando la modalità di rendere la prestazione per obiettivi, per risultati, anziché per il tempo passato in un luogo di lavoro.

Oggi il lavoro, i processi produttivi si sono modificati, le imprese sono più leggere, molte catene di montaggio sono automatizzate e gestite da robot, e oggi un’azienda compra e soprattutto dovrebbe pagare come tale, l’intelligenza delle persone.

Tutte le analisi fatte sulle prospettive dei lavori futuri ci dicono che la distruzione del lavoro dovuta alle nuove tecnologie è, e sarà sempre di più, concentrata sulle mansioni routinarie. Per questi nuovi lavori di qualità occorrerà investire molto in formazione, a partire da una quota notevole delle risorse del Recovery Fund.

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Economia Ecologica

La profonda crisi economica innescata dal Covid-19 ci offre una grande opportunità per migliorare radicalmente la nostra economia e la nostra società, in modo da realizzare quel cambiamento strutturale che da decenni si vorrebbe raggiungere e al quale è stata dedicata tanta ricerca.

Per realizzare un cambiamento di tale portata, tuttavia, è necessario convincere gli esitanti – coloro che, prigionieri di vecchi slogan, sono ancora convinti che sia necessario stimolare la domanda affinché una crescita incessante del PIL possa garantire occupazione e benessere.

L’Economia Ecologica offre una prospettiva privilegiata per formulare indicazioni sia per gestire la pandemia sia per fronteggiare la crisi economica. In primo luogo, l’Economia Ecologica adotta il principio di precauzione sin dalla sua nascita, come nel 1989 ha scritto Bob Costanza nell’editoriale del primo numero della rivista Ecological Economics.

L’elevata incertezza che caratterizza le società contemporanee richiede, più che in passato, politiche che minimizzino il rischio collettivo. La rapida crescita e diffusione del Covid-19 avrebbe dovuto persuadere i decisori politici, e le persone in generale, circa l’importanza di adottare il suddetto principio di precauzione: se i governi avessero preso sul serio i primi segnali di allarme, l’epidemia non sarebbe diventata una pandemia e la crisi economica sarebbe stata molto meno grave.

Purtroppo, come è noto, il PIL non distingue tra beni economici ed esternalità negative. Questo è il motivo per cui gli economisti “ortodossi” dovrebbero essere i primi a chiedere di smettere di incentrare la narrazione sulla crescita del PIL – se solo volessero essere coerenti con il loro apparato teorico e con quello che insegnano. Ovviamente, alcuni economisti sollevano critiche all’attuale sistema che vanno molto più in profondità rispetto al problema dell’inefficienza allocativa. Tuttavia, sarebbe già un risultato importante se venisse meno la schizofrenia di molti economisti che propugnano la crescita incessante del PIL quando parlano come macroeconomisti, e che invece puntano il dito contro le inefficienze allocative quando parlano come microeconomisti. Nel reagire all’attuale retorica su come rilanciare l’economia, per promuovere una sana transizione verso un sistema socioeconomico meno insostenibile, riteniamo che sia anche utile convincere gli esitanti e gli scettici, convincerli del fatto che anche impiegando un punto di vista del tutto tradizionale, la crescita del PIL non necessariamente è desiderabile per la società.

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Democrazia Immunitaria

L’11 settembre, la crisi economica del 2008 e la pandemia globale sono i tre grandi avvenimenti di questo secolo.  I primi due non hanno portato miglioramenti. C’è ragione di essere più ottimisti sul futuro?

Attualmente siamo ancora dentro questa catastrofe ed è difficile fare previsioni. Certamente, sarà un mondo diverso: la pandemia è un avvenimento dirompente, anche più dei due precedenti, e ridisegna questo secolo. Imporrà cambiamenti esistenziali, perché è cambiata la vita quotidiana di ognuno di noi. E i cambiamenti sono difficili da giudicare.

Il virus ha fermato l’asfissia capitalistica, il continuo muoversi verso un obiettivo, la folle accelerazione delle nostre vite: il 2 aprile due miliardi di persone erano confinate in casa, una situazione senza precedenti. Rispetto a questo mondo lanciato verso un extraprofitto continuo, le reazioni singole, individuali, sono votate a non avere nessun effetto, nessun risultato. È difficile dare alternative perché in fondo sembrano non essercene: non riusciamo a immaginarle, e anche questo dovrebbe far riflettere. Viviamo in un momento storico in cui l’alternativa è stigmatizzata prima ancora di manifestarsi.

Le democrazie occidentali prevedono dei confini: chi è dentro ha una serie di tutele, di diritti, di protezioni, e chi è fuori può essere esposto a ogni evento, dalle pandemie alle guerre. Cos’è che ognuno di noi dunque desidera?  Non solo essere tutelato, ma essere proprio immunizzato: non correre il rischio di essere contaminato da chi è fuori dai confini.

La brutalizzazione della società, il rifiuto dei migranti, del “diverso”. Non ci si rende conto che questi confini sono labili ovviamente, come si vede in questi giorni persino all’interno dell’Italia: i calabresi non vogliono i milanesi. La democrazia immunitaria, l’idea di considerare l’altro come un untore, è molto pericolosa. Bisogna porsi il problema delle conseguenze che crea.

La demagogia sul MES

Nessun paese in Europa ha fatto (ancora) ricorso al MES. Sembrerebbe quindi che i sovranisti italiani abbiano ragione a definirlo una fregatura. Ma non è così. Come per qualsiasi strumento finanziario, si tratta di verificare solo se conviene o non conviene. Ma questo i sovranisti non lo spiegano.

Anzitutto va spiegato che sono pochi gli Stati che contemporaneamente hanno bisogno di soldi e per i quali risulta anche conveniente attivare i fondi del Mes. La Francia non ricorre al MES perchè ha più convenienza ad emettere nuovi titoli di Stato. Il rendimento di un titolo francese a 10 anni è negativo (-0,1%) mentre per il MES ci sarebbe un tasso (seppur minimo) dello 0,08%.

Spagna e Portogallo spendono lo 0,4% per l’emissione titoli di stato, ma anche loro non attivano il MES perchè dispongono comunque di un margine di indebitamento che l’Italia non ha. Il Portogallo chiuderà l’anno con un debito al 134% del Pil, la Spagna al 115% (contro il 160% dell’Italia). Questi due paesi possono quindi emettere titoli di stato che risulterebbero ancora “credibili” e che potrebbero finanziare qualsiasi spesa. Mentre i soldi del MES sono vincolati alle spese sanitarie dirette e indirette.

La Grecia è l’unico Stato messo peggio dell’Italia, tuttavia non è stato colpito così pesantemente dal Covid-19 e pertanto i soldi del MES sono meno appetibili.

L’Italia invece che ha già una montagna di debito pubblico – peraltro cresciuta a dismisura quest’anno – e paga l′1,3% sul mercato per finanziarsi, si trova nella non invidiabile situazione in Europa di chi più di tutti avrebbe bisogno anche del Salva-Stati. Considerato anche il fatto che il Covid-19 ha colpito pesantemente il nostro paese, per l’Italia il MES è di fatto la miglior soluzione sotto tutti profili.

Bike-In

L’arena Bike-In potrebbe rappresentare la risposta ideale alle limitazioni del periodo Covid. Entrare ed uscire portando la bicicletta in un’area adibita al pubblico, aiuta certamente a mantenere il distanziamento.

L’alternativa green all Drive-In è stata ideata da un’agenzia di Trezzo (Milano) ed breve debutterà a Mantova, nella zona del Campo Canoa con Niccolò Fabi e Caludio Bisio. Il comune di Mantova è stato il primo a cogliere la palla al balzo, cercando di rilanciare l’intrattenimento estivo (messo a dura prova dal coronavirus) in chiave sostenibile.

Nella pratica, la platea è formata da stralli per parcheggiare le bici, che hanno anche la funzione di divisori. Esistono postazioni singole, per coppie o famiglie e piccoli gruppi. Chi non ha la bicicletta, la può noleggiare grazie ai servizi di bike sharing cittadini.

La nuova sharing mobility

Da Sud a Nord, la svolta pare avviata. E così, mentre Milano annuncia 35 chilometri di nuove piste ciclabili (quella dalla centralissima piazza San Babila a Sesto San Giovanni, periferia nord, è già in via di completamento), i bonus governativi spingono sempre più verso soluzioni individuali di mobilità “dolce”.

Le rilevazioni effettuate dall’Osservatorio sharing mobility nel mese di maggio (sulla base di un campione composto da 12.688 cittadini tra Roma, Milano, Torino, Bologna, Cagliari e Palermo) sono state messe a confronto con i dati raccolti a febbraio 2020: le cifre dimostrano che bici e monopattini in condivisione sono tornati ai livelli pre-Covid 19, un recupero che nell’arco di sole 4 settimane ha toccato rispettivamente i 60 e i 70 punti percentuali e che ricalca quanto già avvenuto in Cina. Le auto sono più indietro.

Il car sharing, invece, lamenta da tempo di forti perdite. Gli operatori sono gelosi dei dati sul fatturato. Quel che trapela è che i margini sono sempre più ridotti: tra assicurazione, tasse comunali, costi di manutenzione e danneggiamenti i costi per vettura rischiano di superare gli utili. E con la sanificazione, necessaria per ristabilire la fiducia con la  base degli utenti, le spese si sono impennate.

Il modello attuale ha mostrato i suoi limiti già nei mesi antecedenti la crisi: Share Now, uno dei principali player, ha cessato il servizio a Firenze a febbraio, dopo ma ha chiuso i battenti anche a New York, Seattle, Washington, Montreal, Vancouver, Bruxelles e Londra. Enjoy ha voltato le spalle a Catania da anni, piegata dai furti.

La leva da manovrare, per tutti, sarà quella della comunicazione. La nuova mobilità è conosciuta da tutti ma ancora poco utilizzata. La buona notizie è che gli italiani mostrano un’elevata propensione. La telematica aumenta il valore dei veicoli connessi: secondo la società, il 36% delle vetture nel nostro paese è già in grado di collegarsi alla rete, generando un risparmio che per le flotte aziendali può essere significativo grazie all’analisi dei dati.

Culture on demand

Il Ministro ai Beni Culturali ha annunciato che il suo dicastero sta ragionando sulla creazione di una piattaforma italiana che consenta di offrire l’accesso a tutto il mondo la cultura italiana a pagamento. Una sorta di Netflix della cultura, che può servire in questa fase di emergenza per offrire i contenuti culturali con un’altra modalità.

E’ probabile infatti che l’offerta online continuerà a ricevere interesse anche dopo il termine dell’emergenza. L’idea è anche quella di rendere possibile la partecipazione online ad ad eventi come quello della Prima della Scala.

Il ministro Dario Franceschini intervenendo al programma condotto da Massimo Gramellini su Rai3 ha spiegato che in queste settimane di lockdown si è compresa fino in fondo la potenzialità enorme del web per la diffusione dei contenuti culturali. Abbiamo rilevato una esplosione di voglia di cultura e creatività che rappresentano la base di partenza per sviluppare un progetto più strutturato.

Il turismo vale il 13% del PIL ed è un settore sul quale l’emergenza coronavirus ha avuto un impatto enorme. Ci vorrà del tempo prima che il turismo internazionale torni in Italia, ma difficilmente questa estate i turisti italiani andranno in giro per il mondo, dobbiamo quindi lavorare sul turismo interno, italiano, di prossimità.

Blockchain per affrontare il Covid-19

La Blockchain è una struttura dati decentralizzata, condivisa e crittograficamente immutabile. Questa struttura funge da registro digitale di tutte le transazioni e\o informazioni inserite o suddivise appunto in blocchi di dati. L’inserimento e la validazione di tali transazioni sono delegate a un meccanismo di consenso distribuito su tutti i nodi della rete stessa.

L’aggiunta di ogni nuovo blocco alla catena deve passare attraverso un preciso protocollo basato sul consenso tra questi computer (nodi). Una volta autorizzata l’eventuale aggiunta del nuovo blocco ogni nodo aggiorna la propria copia senza che ci sia più alcuna possibilità di modificare i dati una volta inseriti e validati.

In altre parole, la Blockchain non è altro che una sorta di libro mastro, distribuito e gestito da una rete di computer, ognuno dei quali ne possiede una copia.

In questo modo, tutte le transazioni possono essere tracciate senza alcun bisogno di una terza parte fiduciaria garante di qualsiasi scambio. Un sistema che permette di recuperare la fiducia ormai persa nell’essere umano, divenuto facilmente corruttibile.

Nel solo mese di febbraio, la Cina ha visto il lancio di ben 20 applicazioni basate su blockchain, progettate per aiutare a combattere l’epidemia del coronavirus. 

In questo modo è stato possibile garantire la sicurezza dei dati medici, tracciando e proteggendo in modo efficace le informazioni raccolte. Ha anche permesso di tenere traccia della fornitura dei materiali per la prevenzione del virus e comunicare con i cittadini.

Questa tecnologia può determinare con esattezza i punti di scambio, dal caricamento delle donazioni (mascherine e altro materiale sanitario) alla loro consegna, fino all’uso finale, così da controllare il processo di distribuzione/allocazione.

La Blockchain non può certo curare il coronavirus, ma sicuramente in futuro, insieme ad altre tecnologie emergenti, ci permetterà di avere reazioni più efficienti a questo tipo di emergenze e tragedie.