Insidie nello Smartworking

C’è un divario significativo tra il concetto di smartworking e la sua applicazione emergenziale nei primi mesi della pandemia. Se con “lavoro agile” intendiamo la possibilità di lavorare da remoto in qualsiasi luogo, senza dover indicare un posto fisso e senza vincolo di orario nine-to-five, allora nell’anno appena trascorso le lavoratrici e i lavoratori non hanno operato in smartworking.

Ciò che in prevalenza è stato introdotto nel 2020 ed è in parte proseguito nel 2021 è meglio definito come “home working” o “emergency working”, in quanto è venuta a mancare l’attuazione della legge 81/2017, che descrive il lavoro agile come istituto lavorativo senza vincoli spazio-temporali e organizzato per fasi, cicli e obiettivi.

Quanto messo in atto durante la pandemia non è nemmeno telelavoro, un istituto in vigore dal 2004 e ben più rigido dello smartworking, ma caratterizzato da maggiori tutele per il lavoratore (ad esempio in materia di salute e sicurezza).

Tuttavia, l’evidenziare la formalità delle norme rispetto alle sue applicazioni pratiche non significa negare che questa modalità di lavoro ha consentito di salvaguardare centinaia di migliaia posti di lavoro ed ha consentito a molte aziende di mantenere attiva la produzione anche nei mesi più drammatici.

Vi sono alcune controindicazioni allo smartworking che vanno in qualche modo prese in considerazione per evitare il paradosso di peggiorare anzichè migliorare le condizioni di lavoro individuali. Anzitutto il luogo di lavoro è luogo di socialità, relazione ed organizzazione collettiva tra persone. E’ chiaro che in assenza di queste condizioni anche il rapporto tra lavoratori e sindacati perde consistenza rendendo meno efficace l’azione di questi ultimi.

C’è poi la questione abitativa: lo smartworking, relegandoci dentro casa, aumenta le esistenti situazioni di diseguaglianza perché non tutti viviamo in belle case spaziose, ben illuminate e silenziose, dove poter lavorare in armonia.

C’è infine da considerare il tema del divario di genere, affatto abanale. Perché, se è vero che lo smart working può aiutare a conciliare i tempi di lavoro e di vita, è anche vero che se la suddivisione del lavoro domestico e di cura non è equilibrata, le donne rischiano di vedere moltiplicati i propri svantaggi e il proprio carico domestico, perpetuando i paradigmi passatisti che con difficoltà stiamo cercando di superare. Secondo molte delle rilevazioni effettuate da vari enti ed istituti di ricerca – non da ultimo l’INPS –, in percentuale le donne sembrano apprezzare meno lo smart working rispetto agli uomini. E questo dato, purtroppo, non stupisce: se la divisione dei ruoli all’interno delle famiglie rimane di stampo tradizionale, sono (e saranno) le donne a sopportare il peso maggiore del lavoro da casa.

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