La cultura della “macchina”

La corrispondenza tra i termini “macchina” e “automobile” esiste nella lingua Italiana ma non nelle altre maggiori lingue europee (inglese, francese e tedesco). Questo la dice lunga sull’intima connessione che si è stabilita tra gli italiani e l’auto. Una connessione “morbosa” che oggi si rivela estremamente difficile da smontare. In realtà anche la bicicletta è una macchina ovvero “un congegno rispondente a determinati requisiti tecnologici, destinato allo svolgimento di un lavoro con notevoli margini di vantaggio“.

Se facciamo riferimento al XX secolo, l’Italia degli anni ’30 del secolo scorso era un paese caratterizzato da un diffusissimo utilizzo della bicicletta (3,5 milioni nel 1933), dalla presenza di tramvie urbane ed extraurbane in gran parte elettriche e da ferrovie al massimo della loro diffusione con oltre 23.000 chilometri di rete, senza contare i quasi 723.000 veicoli con trazione animale che da soli contavano molto di più degli autoveicoli e motoveicoli messi insieme.

Nel secondo dopoguerra lo scenario cambiò rapidamente a favore della mobilità motorizzata di massa, prima a due poi a quattro ruote. Dal 1955 la curva di crescita delle automobili, trainata dalla Fiat, assunse un andamento esponenziale, accompagnata da un massiccio potenziamento delle autostrade e generando un enorme indotto economico diretto ed indiretto (officine e servizi di manutenzione, attività assicurative e creditizie, ecc.).

Cresceva anche il trasporto su camion, tanto da passare tra il 1958 e il 1995 dal 63 al 73%, mentre il treno scendeva dal 25 al 9%. Il “miracolo economico” ebbe ripercussioni anche a livello urbanistico: dagli anni ‘70 la realizzazione di nuovi appartamenti è stata quasi sempre associata a quella di garage e la proliferazione di centri commerciali e artigianali nelle periferie, dotati di ampi parcheggi, non ha fatto altro che incentivare il trasporto automobilistico privato. La crescita abnorme di nuovi complessi residenziali suburbani ha fatto il resto, creando non pochi squilibri anche dal punto di vista sociale.

Il settore dei trasporti è così diventato uno dei principali consumatori di energia, ma al tempo stesso fulcro di un enorme sistema economico e sociale legato, come rivela il Conto nazionale delle infrastrutture e dei trasporti realizzato ogni anno dal MIT, alla vendita delle auto e alle spese di esercizio e manutenzione ordinaria e straordinaria. Una dipendenza che ha forti ripercussioni non solo sull’ambiente e la salute (es. costi sanitari e decessi, compresi quelli prematuri), ma anche sul portafoglio (terza voce di spesa per le famiglie, Istat, 2018), tuttavia assai difficile da scardinare (oltre l’80% degli spostamenti avviene tramite mezzi a motore privati, report Istat 2017).

Per cercare di ridurre questi fenomeni, nel corso degli anni a livello urbano si è cercato, non di rado purtroppo in maniera poco coordinata, di portare avanti alcune azioni tra cui:

  • sviluppo della mobilità pedonale e ciclabile;
  • potenziamento e razionalizzazione dei mezzi pubblici attraverso incentivi e campagne di comunicazione;
  • pianificazione della mobilità aziendale e territoriale (mobility management);
  • gestione della domanda attraverso limitazioni della circolazione veicolare (es. istituzione di Zone a traffico limitato, restrizioni per alcune categorie di diesel) e introduzione di servizi di condivisione (bike e car sharingcar pooling, ecc.) per ridurre il numero dei veicoli in circolazione.

Bisogna fin da subito mettere in chiaro che l’utilizzo dell’auto anche quando se ne potrebbe fare a meno è il più delle volte indice di cattive abitudini e pigrizia fisica e mentale. Che ci spinge a non camminare per distanze inferiori a due chilometri, a non consultare percorsi e orari dei mezzi di trasporto pubblico, a lamentarci quando vengono indetti blocchi della circolazione. Le stesse analisi sui trasporti si concentrano sugli aspetti ingegneristici ed economici, trascurando quelli socioculturali, che giocano un ruolo determinante nelle abitudini di spostamento. L’obiettivo non è certo quello di tornare a un mondo privo di motori, ma semplicemente ridurre l’utilizzo di auto e moto allo stretto necessario, in un’ottica di consumo consapevole oggi pressoché sconosciuto.

In Italia purtroppo gli ostacoli culturali alla mobilità sostenibile pesano tanto quanto la carenza di servizi ed infrastrutture alternative all’auto privata, generando quel circolo vizioso per il quale i servizi pubblici non vengono potenziati perché sono scarsamente utilizzati, ma se non vengono potenziati non possono essere sfruttati.

E’ quindi fondamentale impegnarsi per diffondere la cultura della mobilità sostenibile introducendo una nuova concezione degli spazi urbani all’interno dei quali i cittadini possano muoversi e riappropriarsi dei luoghi che sono stati sottratti a favore delle automobili.

VHS memories

Il Video Home System per registrare un programma o evento da vedere dopo la messa in onda è stato un simbolo degli anni Ottanta, nonché il primo passo concreto verso la definizione di un palinsesto personale che avrebbe trovato terreno fertile negli anni successivi grazie alla tv on demand.

Gli amanti delle Vhs vergini possono fare un tuffo nel passato con la clip realizzata dallo Youtuber 4096, che ha messo in fila le grafiche delle copertine dei tanti brand che avevano puntato sulla produzione di videocassette per la registrazione.

Il monoscopio

Il monoscopio è un’immagine televisiva fissa prodotta allo scopo di verificare la qualità delle trasmissioni e delle apparecchiature televisive. Può essere prodotta da un particolare tubo elettronico oppure generata elettronicamente. Coloro che hanno oggi almeno 40 anni probabilmente ricordano bene quello della RAI TV.

All’epoca delle prime televisioni private, quando la programmazione non copriva l’intera giornata, ciascuna emittente possedeva un’immagine fissa e un suono continuo da trasmettere nel periodo in cui non venivano messi in onda programmi, ovvero durante la notte.

Oltre agli elementi grafici utili per i tecnici, questi monoscopi contenevano il logo dell’emittente e altre informazioni sul canale impiegato. Anche le immagini fisse contenenti solo il logo dell’emittente, non adatte alle misure tecniche, o solamente le barre del colore (con eventuale nome dell’emittente) vennero chiamate meno propriamente monoscopio.

Nel corso degli anni sono stati elaborati ed utilizzati vari tipi di monoscopio. Ogni sua parte corrisponde a un ben determinato test che è possibile effettuare.

Uno dei più conosciuti ed utilizzati è il Philips tipo PM5544, di impiego molto comune in Europa.

Da Gagarin allo Shuttle

Esattamente vent’anni dopo il lancio di Jurij Gagarin, per la prima volta il Columbia oltrepassava i confini dell’atmosfera. Era il primo veicolo riutilizzabile della storia dell’astronautica e avrebbe inaugurato il programma Space Shuttle, capace di segnare una nuova era e di fare intravedere il futuro dei nostri pellegrinaggi extraterrestri.

Il 12 aprile 1981 il nuovo sistema di trasporto spaziale statunitense sollevava le sue 2020 tonnellate di peso dalla celebre rampa 39 di Cape Canaveral, quella da cui le Apollo partivano verso la Luna. A bordo, il veterano John Young era accompagnato da Robert Crippen, al suo debutto oltre l’atmosfera. La novità più importante era però un’altra: il Columbia, il cosiddetto orbiter dell’intero sistema, sarebbe tornato a terra due giorni dopo planando, come un aereo, fino a posarsi sul bacino asciutto del lago Rogers, alla base di Edwards in California.

Con una flotta iniziale di quattro navette chiamate come gloriosi vascelli (il Columbia, il Challenger, l’Atlantis e il prototipo Enterprise, non destinato ai lanci spaziali), il programma si rivelò però molto diverso da come era stato concepito: voleva garantire un futuro spaziale luminoso per tutti. E invece rischiò di comprometterlo.

Alla 25esima missione del programma, il 28 gennaio 1986, 73 secondi dopo il decollo lo Space Shuttle Challenger si disintegrò in diretta tv: persero la vita in sette, compresa Sharon Christa McAuliffe, vincitrice di un concorso nazionale per insegnanti che avrebbe dovuto portare “la prima persona normale” in orbita e ravvivare l’interesse per le attività spaziali, in crisi di popolarità. La Nasa bloccò i lanci fino al ritorno al volo del nuovo Discovery, il 29 settembre 1988, più di due anni e mezzo dopo.

La tragedia, però, si ripeté il primo febbraio 2003, quando invece del rientro del Columbia, programmato per quel giorno, le televisioni americane mostrarono il volto del presidente George W. Bush, cupo come l’11 settembre di due anni prima.

History Repeats

La storia si ripete e a provarlo in questi giorni è Getty Images, uno dei maggiori fornitori online di immagini stock ad alta definizione. La sua ultima campagna si intitola “History Repeats” e dimostra come passato e presente siano collegati in maniera sorprendente.

History Repeats” affianca immagini attuali e inedite a note fotografie del passato e le unisce in corrispondenze visive e tematiche.

L’influenza spagnola del 1918 accompagna la pandemia Covid-19 del 2020. Le immagini delle lotte a Londra per il suffragio femminile del 1906 si abbina a quelle delle manifestazione delle Femen a Parigi nel 2018. I disordini di Stonewall del 1970 a New York si uniscono al Pride in California nel 2019. E infine, la nave che trasporta alcuni rifugiati ebrei nel 1948 si ritrova in quella approdata in Italia nel 2017.

Zeitgeist Nostalgia

Nel suo libro Zeitgeist Nostalgia. Populism, work and “the good life” (di prossima pubblicazione in italia), Alessandro Gandini, professore associato di Sociologia presso La Statale di Milano, analizza i tratti dell’egemonia della nostalgia nella politica e negli stili di vita contemporanei a partire dai ribaltoni politici del 2016 causate dalla vittoria di Trump alle elezioni USA e dal successo del “Leave” nel referendum Brexit del Regno Unito. Secondo Gandini quei due eventi hanno marcato l’emersione mai così palese di narrative nostalgiche nel discorso pubblico, mentre i mantra populisti di destra sul “riprendere il controllo” diventavano egemoni.

Tratti che delineano l’attuale epoca come un “interregno” tra la fine del mito della “good life” boomer, fatta di stabilità economica e certezze sociali e l’orizzonte odierno, dove quelle certezze sono cadute, o si sono dimostrate false, o non hanno prodotto alternative altrettanto egemoni. Nel mezzo, a dominare è la nostalgia. Quella delle destre populiste certamente, ma anche quella hipster – tutta costruita attorno a un mondo idealizzato di artigianato e vintage – o quella della parte abitata della rete, dove le piattaforme di social media sono intrinsecamente portate al generare effetto nostalgia.

Gandini sostiene che siamo circondati dalla nostalgia. E’ il riflesso di una distonia tra l’idea di futuro della fine del Novecento, caratterizzata da una nozione troppo ottimista di progresso gli avvenimenti più recenti – 9/11, crisi del 2007, crisi del debito, fino alla pandemia. Viviamo una sorta di tradimento da parte del futuro, che doveva presentarsi in un modo e invece è arrivato nella sua versione più distopica; qui si innesca la nostalgia. La fantascienza ha contribuito a socializzarci a questa versione ottimista del futuro, perché alla fine nei libri e nei film i cattivi perdono sempre. Nella realtà, invece, meno.

L’albero degli spaghetti

L’albero degli spaghetti, chiamato anche La raccolta degli spaghetti svizzeri (in lingua inglese: The Swiss Spaghetti Harvest), è un falso documentario messo in onda dalla BBC il 1º aprile 1957 durante il programma televisivo d’attualità Panorama.

Nel filmato di circa tre minuti, realizzato come pesce d’aprile, venivano mostrate le immagini di una gioiosa famiglia svizzera intenta nella raccolta degli spaghetti cresciuti sull’omonimo albero del proprio giardino di casa.

All’epoca gli spaghetti erano considerati un cibo esotico e poco conosciuto nel Regno Unito, tanto che molti britannici non erano a conoscenza che gli spaghetti fossero realizzati impastando farina e acqua. Per tale motivo, dopo la messa in onda del programma, molti telespettatori contattarono la BBC per avere consigli su come coltivare il proprio albero degli spaghetti.

Decenni dopo la CNN ha definito il falso documentario “il più grande scherzo che un organo d’informazione rispettabile abbia mai pensato”.

La quadratura del cerchio

In tutto il mondo si levano voci preoccupate per l’impatto della pandemia sulle democrazie, le libertà, l’affermazione dei principi universali sui diritti dell’uomo. Freedom House, ONG fondata da Eleanor Roosevelt nel 1941, nell’ottobre scorso ha calcolato che in un quarto dei paesi del mondo la pandemia ha prodotto abusi di potere e anche violenze, e che in metà degli Stati sono state introdotte limitazioni alla libertà di manifestazione del pensiero, oppure controlli sull’informazione.

Quanto siamo disposti a rinunciare alle maggiori conquiste civili degli ultimi tre secoli barattandole con maggiore sicurezza e salute?

L’alleanza tra Capitalismo e Democrazia si è consumata nella seconda metà del secolo scorso, strutturalmente determinata dalla cosiddetta Guerra fredda. È proprio a causa di questo scenario, che vedeva il Capitalismo impegnato in questa lotta per la propria sopravvivenza, che è stato possibile “tenere insieme” i valori democratici e i valori capitalistici che, di per sé, sono in conflitto tra loro.

In Italia, tra l’altro, questo conflitto è stato particolarmente evidente poiché per ben tre volte negli ultimi trent’anni i valori fondanti della Democrazia sono stati sacrificati alle ragioni del Capitalismo:

  1. Nel 1993, quello di Carlo Azeglio Ciampi fu il primo governo della storia della Repubblica Italiana ad essere guidato da un non parlamentare (quindi qualcuno che non fosse espressione diretta della “volontà popolare”) e rappresentava l’incarnazione del sistema Capitalistico preoccupato, all’epoca, della tenuta finanziaria dello Stato ovvero della realizzazione dei valori capitalistici.
  2. Nel 2011, il governo guidato dal senatore Mario Monti, rappresentava la perfetta personificazione del sistema assiologico capitalista poichè lo Stato si trovava di fronte ad un possibile default finanziario.
  3. Nel 2021, prende luce il governo presieduto da Mario Draghi, anche quest’ultimo come i due precedenti non espresso dalla “volontà popolare”, ma preso a prestito dalle “istituzioni” del Capitalismo in occasione dell’ennesima crisi economica che minaccia il Paese (sulla base dei “valori” del sistema capitalistico).

La “quadratura del cerchio”, dunque, è impossibile. Il Capitalismo non può essere democratico e la Democrazia non può essere capitalistica. È possibile solo, per rimanere alle metafore geometriche, un cerchio inscritto in un quadrato o un quadrato inscritto in un cerchio. Fuor di metafora, una subordinazione dei valori del Capitalismo ai valori della Democrazia o viceversa.

La fallacia del concorde

Quando si sbaglia nel considerare i costi irrecuperabili, ci si trova dinanzi ad una distorsione cognitiva nota come fallacia dei costi irrecuperabili (Sunk Cost Effect), altrimenti detta come fallacia del Concorde.

Nel 1975 i governi francese e britannico avevano già pesantemente investito denaro e prestigio nel progetto “Concorde” ma proseguirono investendo ulteriormente denaro nel celebre aereo, anche quando era ormai chiaro che non sarebbe stato certamente sostenibile dal punto di vista finanziario. Il risultato finale fu un investimento in perdita totale e, anche se dovuto ad un insieme di concause del tutto sfortunate, ahimè anche di vite umane.

Si tratta di un bias che riguarda il comportamento paradossale per cui quando abbiamo dedicato tanto impegno, tempo e/o soldi in un progetto che adesso sta andando male – tanto da trovarci di fronte ad una perdita irrecuperabile – invece di abbandonare il progetto e limitare le perdite, tendiamo a continuare ad investire anche se questo non farà altro che aumentare le nostre perdite.

Ci sono svariati altri esempi di come agisce questo bias. Immaginate di aver pagato 80 euro per il biglietto dei una partita di basket di campionato che si gioca a un’ora di macchina da dove abiti. Il biglietto è nominativo e non può essere ceduto ad altri. Il giorno della partita si scatena una tempesta di neve che rende rischioso mettersi al volante. Andreste comunque alla partita?
Ora immaginate invece che il biglietto sia stato regalato. Andreste alla partita con maggiore o minore probabilità? Il biglietto rappresenta sempre un costo irrecuperabile, ma la reazione nei due casi per molte persone sarebbe del tutto diversa.

Alcune evidenze sperimentali inoltre suggeriscono che la fallacia dei costi irrecuperabili sia guidata da emozioni negative causate dalla prospettiva di aver investito senza successo, quali la paura di fallire o di essere giudicati.

La fallacia del Concorde o dei costi irrecuperabili può dare inizio a un circolo vizioso che prende il nome di escalation situation.

Quando infatti un progetto di qualsiasi tipo comincia ad andare male, il bias dei costi irrecuperabili potrebbe spingerci irrazionalmente a fare ancora più investimenti nel progetto e quindi a farci sostenere un costo irrecuperabile addirittura maggiore, ancor più difficile da ignorare e giustificare, e che a sua volta incoraggerà un ulteriore esborso di denaro e così via.

Un esempio molto noto di ‘escalation’ è quello che racconta la condotta degli Stati Uniti nella guerra in Vietnam. Secondo l’analisi dell’allora Segretario di Stato George Ball, nel 1965, dal momento in cui i soldati iniziarono a combattere e a morire, divenne impossibile ritirarsi per la paura che questi soldati fossero morti invano. Furono perciò mandati ulteriori soldati, molti dei quali morirono a loro volta e a quel punto il ritiro diventò ancora più difficile.

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Attualità della critica Keynesiana

John Maynard Keynes sosteneva che nel secolo XIX il criterio del tornaconto finanziario, si era sviluppato fino a un livello stravagante, come test per valutare l’opportunità di intraprendere un’iniziativa di natura sia privata che pubblica. Oggi alcune delle sue critiche al capitalismo possono essere riconsiderate in chiave moderna. Le considerazioni di Keynes sulla tutela dei beni naturali e all’investimento sul futuro della Comunità, sono infatti presenti nei fondamenti delle Benefit Corporation, che si stanno diffondendo in questi anni.

Nel suo saggio del 1933, Autosufficienza economica, Keynes scriveva che nei decenni della rivoluzione industriale, invece di utilizzare l’immenso incremento delle risorse materiali e tecniche per costruire la città delle meraviglie, si crearono i bassifondi. La “città delle meraviglie” era considerata un atto di follia che avrebbe ipotecato il futuro. Ma nessuno può credere che l’edificazione di opere grandi e belle possa impoverire il futuro a meno che non sia ossessionato da false analogie tratte da un’astratta mentalità contabile. Eppure ancora oggi la Società è guidata da un sistema di contabilità finanziaria che mette in dubbio il «rendimento» di iniziative volte al benessere nel futuro. Dobbiamo rimanere poveri perché non rende essere ricchi.

La stessa regola autodistruttiva di calcolo finanziario governa ogni altro aspetto della vita. Distruggiamo le campagne perché le bellezze naturali non hanno valore economico. Probabilmente saremmo capaci di fermare il sole e le stelle perché non ci danno alcun dividendo. Londra è una delle città più ricche nella storia della civiltà, ma essa non si può permettere programmi più ambiziosi, alla portata dei propri cittadini, perché non rendono.

Il denaro così speso non solo sarebbe più opportuno di ogni sussidio di disoccupazione ma renderebbe inutile tale sussidio. Perché con quello che abbiamo speso in sussidi di disoccupazione dalla fine della guerra avremmo potuto rendere le nostre città le più grandi opere dell’uomo sulla faccia della terra.

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