Non si può stabilire chi NON curare

Pensare di far pagare le cure a chi non si è vaccinato è un ragionamento molto pericoloso perché introduce un principio etico-salutistico che richiede valutazioni soggettive. Come ci comportiamo allora con:

– l’infartuato sovrappeso che non ha seguito la dieta?

– il fumatore con il tumore ai polmoni?

– l’ubriaco al volante che si è schiantato contro un albero?

Chi stabilisce i criteri? Solo nel primo caso le conseguenze di un comportamento personale non ricadono direttamente sugli altri. In tutti e tre i casi la collettività sostiene i costi delle cure.

Per superare il problema no vax è molto più semplice introdurre l’obbligo vaccinale e prevedere controlli e sanzioni,anche limiti i accesso a determinati servizi o contributi pubblici. Ma in uno stato civile e democratico, chi sta male va sempre curato.

Dove sono i “No Air”?

Mentre no vax e no green pass si oppongono più o meno ideologicamente al’obbligo del vaccino “perché non sappiamo cosa contiene” e “non conosciamo gli effetti collaterali a lungo termine“, quasi nessuno si preoccupa delle milioni di morti premature ogni anno causate dall’inquinamento dell’aria.

L’Organizzazione mondiale della Sanità a pubblicare un aggiornamento delle linee guida basato su sei revisioni sistematiche di oltre 500 articoli scientifici.

Oltre il 90% della popolazione mondiale vive in aree in cui le concentrazioni di PM 2,5 nell’aria superano le linee guida per l’esposizione a lungo termine. Ogni anno l’esposizione all’inquinamento atmosferico causa 7 milioni di morti premature e provoca globalmente la perdita di milioni di anni di vita in salute: nei bambini, in particolare, tra le conseguenze c’è la riduzione dello sviluppo e della funzionalità dei polmoni, oltre a infezioni respiratorie e forme gravi di asma, mentre negli adulti sono legati all’inquinamento cardiopatia ischemica e ictus – le cause più comuni di morte prematura e di invalidità in Italia – ma potrebbero esserlo anche il diabete e le patologie neurodegenerative, malattie che non possono essere più viste come semplici problematiche legate all’invecchiamento.

Ci sono prove per cui anche l’infertilità sarebbe legata alla qualità dell’aria, un problema che oggi in Italia riguarda il 15% delle coppie. In definitiva, l’inquinamento atmosferico agisce sulla salute umana con modalità paragonabili a fattori altrettanto noti come alimentazione malsana e fumo: si piazza infatti al quarto posto tra i principali fattori di rischio per patologie e mortalità a livello globale, dietro soltanto a ipertensione, fumo e dieta alimentare.

L’ottimistica idea dell’Oms è quella di fornire uno strumento teorico con cui i governi possano tutelare i propri cittadini, allineando le proprie politiche ambientali alle linee guida: facendo così si potrebbero abbattere di quasi l’80% i decessi mondiali legati al PM 2,5, riducendo, insieme al carico di malattie, anche i costi sul piano sociale ed economico. Ma non è scontato che i governi si attengano a valutazioni non vincolanti, per quanto allarmistiche, tanto che l’Oms stessa ha proposto obiettivi intermedi per facilitare il miglioramento graduale della qualità dell’aria.

L’assenza di una volontà politica di agire è ancora più grave nei Paesi con la maggiore densità di abitanti, molti dei quali sono Paesi a basso e medio reddito: proprio loro stanno affrontando livelli crescenti di inquinamento atmosferico causati dall’intensa urbanizzazione, mentre i loro governi non hanno né la possibilità né la volontà di rinunciare a una crescita economica trainata dai combustibili fossili. Se già da noi la transizione ecologica è un tema delicato e, per molti settori economici, controverso, non possiamo pensare che le linee guida dell’Oms saranno seguite nei Paesi che più di noi hanno bisogno di tutti gli strumenti, fiscali, economici e sociali, per mettere in atto la drastica riduzione delle emissioni di cui le loro popolazioni hanno bisogno. La scelta, però, è che più o meno rapidamente tutti noi continuiamo a soffocare per l’inquinamento che ci ostiniamo a non voler ridurre.

Vax XIX

Nel 1853, per contrastare l’epidamia di vaiolo (smallpox), nel Regno Unito si fece ricorso all’obbligo vaccinale, dopo che nel 1840 era stata vietata la più pericolosa variolizzazione. Gli atti successivi del Parlamento inglese mantennero questa impostazione per tutta la seconda metà del secolo XIX.

Ovviamente non mancarono i movimenti no vax che dipingevano il vaccino come pericoloso e dannoso. Ma per fortuna, grazie alla Scienza all’intervento pubblico, quel virus fu sconfitto.

Il Public Health Act 1875 fu lo spartiacque, nel mondo inglese, tra Pre-Sanitary Era e Sanitay Era, ossia tra il vecchio e il nuovo modo di regolare la salute pubblica. Il Public Heath Act consolidò e potenziò tutti gli atti del Parlamento relativi alla salute pubblica emanati in UK durante il XIX secolo. In pratica, fu il culmine di tutte le campagne per le condizioni sanitarie organizzate nella Gran Bretagna vittoriana. Sotto questa legge furono riunite tutte le precedenti disposizioni legislative in materia di igiene, disturbi e salute pubblica. I positivi risultati di questa campagna sanitaria furono evidenti.