Un modello perdente

Purtroppo in Italia è ancora molto diffuso il modello di pianificazione urbanistica che massimizza l’uso della strada (ovvero l’80% dello spazio pubblico nelle nostre città) a favore dell’automobile, riducendo sempre di più lo spazio per gli altri utenti e le altre funzioni.

L’obiettivo di questo modello è la fluidificazione del traffico tramite la separazione dei flussi, progettando strade divise per corridoi (quello veicolare e quello per la sosta sempre presenti, quello dei marciapiedi o del verde se lo spazio rimasto lo consente). Pedoni e ciclisti devono interrompere il meno possibile il flusso del traffico e nascono così strettoie, sovrappassi, sottopassi pedonali ed altre barriere architettoniche

Le conseguenze di questo tipo di soluzione sono tutti i giorni davanti ai nostri occhi. Il record di auto per abitante che il nostro paese detiene a livello europeo, si traduce nell’occupazione di ogni spazio disponibile per la sosta legale e troppo frequentemente illegale (e molto raramente sanzionata). Le auto in doppia fila, parcheggiate sul marciapiede, sulle strisce pedonali, in corrispondenza degli scivoli per disabili, sono purtroppo per noi italiani normalità al punto che abbiamo accettato socialmente l’illegalità della sosta.

A Milano lo spazio occupato ogni giorno da auto e moto in divieto di sosta è pari a 65 ettari (come i parchi Sempione, Montanelli, Basiliche, Ravizza e Guastalla messi insieme). Secondo una recente ricerca europea, l’automobile rimane ferma il 92% del tempo ad occupare 10 mq di spazio pubblico. Uno spazio che nelle nostre città rappresenta una risorsa scarsa e che viene quindi sottratto ad usi decisamente più importanti e preziosi della semplice sosta di un veicolo. 

Questo dato conferma l’importanza della gestione della sosta per migliorare la qualità urbana disincentivando l’uso dell’auto privata a favore della mobilità attiva e dell’uso dei mezzi pubblici. Ma in Italia sembra essere un tema che nessuna amministrazione, indipendente dal colore politico, ha la forza o la volontà di affrontare. 

Parlare di mobilità sostenibile significa non poter più rimandare la questione della gestione della sosta su strada nelle nostre città. La stessa ricerca europea ci ricorda inoltre che il 40% dei percorsi effettuati in auto nelle nostre città è inferiore a 3 Km, il 60% inferiore a 5 Km. Facciamo spesso un uso inutile dell’automobile, per tragitti che sono assolutamente più efficienti e rapidi in bicicletta o addirittura a piedi

Le conseguenze di tale uso eccessivo del veicolo privato sono evidenti nella congestione che caratterizza la gran parte delle città italiane nelle ore di punta. Secondo una ricerca del gennaio 2020 che analizza il trend della congestione urbana in 200 città di 38 paesi, le città italiane sono quelle in cui si perdono più ore nel traffico, con Roma seconda solo a Bogotà e Milano settima.

Ridurre o eliminare tale uso inappropriato dell’automobile vuol dire quindi non solo ridurre tale congestione a favore di una mobilità urbana più efficiente, favorendo di conseguenza anche il trasporto pubblico, ma anche favorire chi l’automobile è costretto ad usarla (perché effettua tragitti più lunghi, perché trasporta persone o merci o per qualsiasi altro motivo).

Le città italiane sono senza alcun dubbio tra le più belle al mondo, ma le troppe automobili e l’uso eccessivo del veicolo privato ne pregiudicano in maniera evidente la qualità e la vivibilità. Quante delle nostre piazze storiche sono state trasformate in parcheggio perdendo la funzione per cui sono state realizzate? Il vocabolario Treccani definisce la piazza come “Area libera, più o meno spaziosa … che, limitata da costruzioni, spesso architettonicamente importanti, e abbellita talvolta da giardini, monumenti, fontane, ha la funzione urbanistica di facilitare il movimento, di dare accesso a edifici pubblici, di servire da luogo di ritrovo e di riunione dei cittadini, costituendo non di rado il centro della vita economica e politica della città o del paese”.

Questi gli argomenti e i dati (non opinioni, su cui basiamo purtroppo troppo spesso la pianificazione della mobilità in Italia) dimostrano che oggi la soluzione della separazione dei flussi e della fluidificazione del traffico, del linguaggio progettuale autocentrico e della massimizzazione dello spazio pubblico per il traffico veicolare non può che essere considerata perdente. 

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